Cosa succede in una società nel momento in cui si svolge un campionato di calcio importante come il campionato europeo? Si può paragonare con quel che succede durante la Coppa America, per esempio?
Pablo Alabarces: Il campionato europeo ha una forza simbolica molto maggiore. Questo dipende dal complesso processo di selezione, a cui partecipano molti paesi, ma che permette l’accesso alla fase finale a sole 16 squadre.
È molto più attraente della Coppa America, perché vi prendono parte i migliori calciatori del mondo e perché ogni quattro anni l’attenzione si focalizza su questo momento particolare.
Ma si può dire che questo momento focalizza anche l’attenzione nazionalista?
Pablo Alabarces: Da tempo l’attenzione identitaria nel calcio internazionale si concentra più sui fenomeni locali e regionali che sulle questioni nazionali.
In Italia, per esempio, le partite tra città e regioni del nord e del sud sono più «interessanti» che la squadra nazionale. In Gran Bretagna c’è il caso scozzese, che è stato definito da alcuni colleghi il «patriottismo dei 90 minuti», un patriottismo che si manifesta solo nello spazio di una partita.
In Spagna, i tifosi sostengono la squadra nazionale, ma in realtà si preoccupano molto di più per le polemiche fra baschi, catalani, valenziani, galiziani e asturiani.
Ci sono eccezioni?
Pablo Alabarces: Sì, dove esistono tensioni nazionaliste i fenomeni legati al calcio possono diventare dei catalizzatori. Succede nell’Europa dell’est e nei Balcani, soprattutto tra serbi e bosniaci e, in misura minore, croati.
Ma si tratta appunto di luoghi dove la pulsione nazionalista continua ad essere molto forte e lo sport funge da «motore».
Perché alla vigilia degli Europei si percepisce questo fervore nazionalista?
Pablo Alabarces: Colpisce il fatto che i pubblicitari continuino a far uso di argomenti nazionali per promuovere dei prodotti. In America latina si vede chiaramente che il tema nazionale funziona molto bene come argomento di vendita anche se non funziona come argomento identitario.
Lo scrittore Alejandri Dolina ha detto una volta che se si organizzasse un campionato del mondo con i 200 migliori calciatori del pianeta, suddivisi per sorteggio in 16 squadre, la qualità della competizione sarebbe superiore, ma non interesserebbe a nessuno.
L’interesse che suscitano queste competizioni risiede per l’appunto nella finzione che quello che c’è in gioco sia la bandiera, la patria, ecc.
Il tema della violenza nel calcio trascende tutte le frontiere. Cosa ci si può aspettare da questi Europei?
Pablo Alabarces: Vedo due questioni: la prima è quella del razzismo, di cui il calcio non è responsabile, ma che lo aiuta ad esprimersi.
D’altro lato, il campionato rappresenta un’occasione di confronto per i diversi stili di tifo. Gli italiani si fanno un vanto di essere i tifosi rumorosi e agitati. Gli inglesi – assenti dall’Euro – sono convinti di essere i migliori tifosi del continente. I tedeschi non sono da meno. Quanto ai turchi, ritengono un loro dovere morale litigare con tutti.
In genere non viene compreso però che questa violenza ha valore solo in se stessa e non è strumentale. Non si tratta del fenomeno argentino detto delle «barras bravas», in cui la violenza serve ad ottenere vantaggi economici. Qui abbiamo a che fare con persone che provano un piacere profondo nel fatto stesso di esercitare violenza.
Si possono tracciare paralleli tra le «barras bravas» latino-americane e questi attori europei?
Pablo Alabarces: Nel caso europeo, a volte entra in gioco una componente politica, spesso tinta di razzismo. C’è una violenza d’estrema destra, basata su discorsi molto radicali, molto xenofobi, contro gli immigrati, i neri, ecc.
Spesso la violenza calcistica in Europa ha coloriture politiche. È noto il caso italiano, con l’opposizione tra i tifosi della Lazio, molti dei quali si definiscono fascisti, e quelli del Livorno, che si dicono comunisti.
La violenza latinoamericana è apolitica e puramente calcistica.
Che sentimenti si risvegliano quando piccole squadre come la Svizzera si confrontano con grandi squadre come l’Italia, la Germania o la Spagna?
Pablo Alabarces: Il mito di Davide e Golia. Il calcio basa tutto il suo fascino in quella che si chiama illusione democratica. Lo sport è nato nel XIX secolo in Inghilterra, nello stesso momento in cui cominciano a svilupparsi le moderne democrazie. L’idea è quella della competizione tra uguali.
Nel calcio, all’inizio della partita tutti sono uguali e vince il migliore. Questo corrisponde all’ideale meritocratico di qualsiasi sistema democratico. Il vantaggio dello sport è che vige davvero la meritocrazia, mentre nella società non è così.
Nello sport il sistema permette al debole di sconfiggere il forte. Lì risiede il fascino del calcio. La possibilità, seppur remota, che la Svizzera o un’altra piccola squadra diventi campione d’Europa.