06.06.2008 – Il Manifesto – Austria & Svizzera Europeo senza muffe

Parte domani il torneo continentale, due tifosi di Slow Food lo giocano tra Mozart, Dürrenmatt e Orson Welles 

JOHN IRVINGGIOVANNI RUFFA

«Come si può conciliare – riflette ad alta voce un Giovanni pensoso nell’ufficio di Slow Food a Bra – il rifiuto dei food miles con il consumo, che auspichiamo, di prodotti equi e solidali? Pure loro viaggiano per migliaia di chilometri: cioccolato, banane, pompelmi…». Ma l’inglese oggi non segue. Ha altri pensieri per la testa. Parla a ruota libera…John. Ci siamo quasi. Che suspense, che dramma, che emozione!Giovanni. Già. Tu ormai hai in testa solo l’Europeo di Austria-Svizzera che comincia domani.J. Potrei sbagliarmi, ma sono i due paesi con le squadre più deboli.G. Attenzione, le sorprese sono sempre dietro l’angolo. Ma, in effetti, sono decenni che Austria e Svizzera non esprimono né grande calcio né grandi calciatori.J. Eppure sono stati fondamentali per l’evoluzione del gioco.G. Certo, il Wunderteam austriaco, allenato da Hugo Meisl e guidato in campo da Matthias «Cartavelina» Sindelar, il calciatore che disse di no a Hitler e poi morì in circostanze misteriose con la fidanzata Camilla Castagnola, ha rivoluzionato il calcio negli anni ’30. J. Calcio totale ante litteram.G. Sì, ai Mondiali italiani del 1934 perse in semifinale contro l’Italia per colpa del maltempo. Il campo era in pessime condizioni e non potè attuare gli abituali rapidi schemi «palla a terra». O almeno così dicono loro, gli austriaci.J. Anche se immagino che a Roma, in quell’occasione, le avversità ambientali non riguardassero solo lo stato del campo. G. In effetti. Tra fascismo e nazismo, quella squadra non ha potuto vincere quanto avrebbe meritato. Nel 1938, dopo l’Anschluss, è stata saccheggiata per creare un’unica nazionale pan-tedesca.J. Ma l’influenza della scuola austriaca riaffiora negli anni ’50 e, in qualche modo, va a intrecciarsi con quella della scuola svizzera. Un po’ come il viennese Freud aveva influenzato lo svizzero Jung, mezzo secolo prima. G. Non fare lo spiritoso. Anche la storia tecnica, tattica e sociale del calcio è cultura. J. Appunto, ma a volte bisogna sdrammatizzare. Sembra di sentire parlare Eric Hobsbawm.G. Viennese purosangue. Riprendendo il discorso, fu allenando la nazionale elvetica che Karl Rappan, viennese pure lui, introdusse il sistema «verrou», con l’utilizzo del libero, che poi ha dato origine al catenaccio. J. Bella invenzione! Complimenti!G. Tu scherzi, ma guardando le ultime fasi della Champions League mi pare che, fatti i debiti aggiustamenti, il sistema si pratichi ancora.J. Qui ti do ragione, ma ti dico anche che è bello guardare la Champions League da svizzero.G. Non ti seguo.J. Semplice. Per una volta nella stagione, l’appassionato può godersi la sua passione fino in fondo. Finalmente vede delle partite di calcio, senza lo stress e i nervosismi del coinvolgimento emotivo. Le gusta e le analizza da neutrale. G. Ah, la famosa neutralità svizzera. Ma sul piano politico, il discorso non è così semplice. J. No, chiedere a uno svizzero di schierarsi è come chiedere a un americano di disegnare una mappa del mondo. G. È anche una posizione molto di comodo. Imperversa il nazismo in tutta l’Europa e alla Svizzera non gliene frega nulla. Anzi, è disposta a prendere in custodia i suoi tesori.J. E, al giorno d’oggi, ad accogliere i soldi neri della criminalità organizzata e non…G. Oddio, un altro bianconero che arriva. La porta finestra sul cortile si apre. Entra Alessandro Monchiero, collega, artista e filosofo.A. Prendersela con la neutralità è comunque accostarle il proprio colore – ocra, rosso, verde – che di riflesso darebbe un tono pure a lei, smunto, ma pur sempre una sfumatura, mentre la neutralità di colori non ne ha. È darle un sapore, mentre la neutralità è un latte pastorizzato che dà formaggi uguali in ogni rione del globo, senza occhiature giallo-marroni, croste arancioni, muffe striate di blu (sempre siano benedette le muffe, solletico papillare che solo l’anti-igienico sa regalare). È darle una storia, mentre lei, mai nobile ma neppure capace d’esser schifosa, gretta, meschina, di storia non ne ha. Fra rette adunche, ghirigori arabescati, frenetici zig-zag, morbide dolci evoluzioni, in tutto l’armamentario della storia, insomma, la neutralità non è che un punto. Fermo altrove. Fuori. Passivo e triste. Netto, pulito, lustro, inutile. Un mono tono incapace di interagire tanto con le melodie suadenti che con i frastuoni roboanti. La neutralità non ha tempo da perdere, perché è fuori dal tempo. Mica come voi, come noi, per i quali il tempo ha senso solo quando lo si spreca in decisioni e schieramenti sbagliati. E buttandolo via forma quel che siamo. Lasciate perdere, la Svizzera. Paese senza muffe…Esce.J. (come se niente fosse) Il terzo uomo ha parlato!G. A proposito. Senti questa: «In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerre, terrore, assassini, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù». Chi l’ha detto?J. C.L.R. James?G. No, Harry Lime.J. Ala sinistra, Aston Villa, anni ’30?G. No, proprio lui, il vero terzo uomo de… Il terzo uomo.J. Ah, il film. Ambientato, guarda caso, a Vienna nel dopoguerra. Allora, le parole sono di Graham Greene, che ha scritto la sceneggiatura.G. No, la battuta è stata imposta da Orson Welles, che interpretava Harry Lime, e non aveva grossa stima della Svizzera.J. In effetti, a differenza di altre nazioni europee, non è che abbia dato un grosso contributo alla storia del mondo, la Svizzera.G. Pensi all’Austria e pensi a Haydn, Mozart, Schubert, Bruckner, Strauss padre e figlio, Schonberg, Webern, Berg… E mi limito alla musica. J. Pensi alla Svizzera e pensi a Michelle Hunziker.G. Che c’entra con la musica? Non è mica una cantante.J. No, ma era sposata con Eros Ramazzotti.G. Parlavo seriamente. Passando alla filosofia, l’Austria ci ha dato Wittgenstein e Popper. Per la letteratura, vengono in mente Schnitzler, Roth… J. E la Svizzera ci ha regalato Heidi.G. Alt! Non esagerare. Dove lo mettiamo Friedrich Glauser? Il suo sergente Studer rovista nei rifiuti che i suoi connazionali nascondono sotto un tappeto di prati verdi e di marciapiedi senza una cicca in terra. O Robert Walser, che con i suoi personaggi fugge dal mondo e da un ordine fittizio? Per non dire di Dürrenmatt, un maestro. O di Giovanni Orelli, ticinese, grande narratore che ha raccontato l’epopea di Walacek?J. E poi ci sono il cioccolato e i coltellini. Senza dimenticare Guglielmo Tell. Ma hai ragione. Fin qui abbiamo scherzato, ma, specialmente alla vigilia dei grandi avvenimenti sportivi, non bisogna ironizzare troppo sulle nazioni ospitanti.G. Appunto. Ci vogliono discrezione e diplomazia. Ricordi quello che è successo ai mondiali del 1962 in Cile?J. Sì, due giornalisti italiani, uno dei quali è poi diventato capo ufficio stampa di Craxi, hanno fatto commenti pesanti sulle condizioni di vita del paese ed è scoppiata la Battaglia di Santiago.G. Intanto la Battaglia di Berna c’è già stata.J. Sì, ai Mondiali del 1954. Semifinale Ungheria-Brasile. G. Se le sono date di santa ragione proprio due delle nazionali più belle e più tecniche dell’epoca, forse di tutti i tempi. J. L’Ungheria di Puskas, Hidegkuti e Kocsis, il Brasile di Nilton Santos, Djalma Santos e Julinho (aspettando Pelé). G. Altri tempi, altra classe, altre botte. Ma ora fammi andare. Anch’io come Cofferati parto per la Sardegna. È tempo di pesca ai tonni. Occorre vigilare che non se li prendano tutti i giapponesi.

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